70 anni dentro un polmone d’acciaio, l’incredibile storia di Paul Alexander
Una delle ultime persone al mondo a vivere all’interno di un polmone d’acciaio, tutto a causa della poliomielite che lo colpì quando aveva solo sei anni👇
Un’enorme scatola di forma cilindrica dall’aspetto ansiogeno, un foro per far passare la testa, un sistema in grado di generare pressione interna, due fasce di contenimento, una sulla vita e l’altra sul collo. E’ all’interno di una struttura simile che lo statunitense Paul Alexander ha trascorso settant’anni della propria vita, da quando, molto giovane, la poliomielite lo colpì rendendolo paralitico. Era il 1952, e la malattia in questione rappresentava ancora una minaccia serissima alla salute pubblica, in assenza del vaccino (che sarebbe sopraggiunto pochi anni più tardi). Paul, che all’epoca di anni ne aveva appena sei, fu tra le migliaia di bambini a venire ricoverato in ospedale, ma le sue condizioni apparivano critiche. Provvidenziale l’intervento di un medico che, accortosi del rischio di apnea, lo inserì prontamente in un polmone d’acciaio.
Da allora Paul Alexander ha legato la sua stessa esistenza al grosso respiratore artificiale, antesignano dei moderni ventilatori meccanici. Senza quei movimenti ritmici di dilatazione e compressione volti ad attivare la gabbia toracica, anche un’azione così naturale gli sarebbe risultata impossibile. La polio, infatti, aveva danneggiato i recettori dei muscoli deputati alla respirazione, rendendo necessario il supporto di un macchinario che ricreasse le condizioni della respirazione stessa. Nel corso dei decenni l’evolversi della tecnologia medica ha permesso di superare l’ingombranza e invasività di tali strutture, ma il povero Paul da quella macchina non ha più potuto separarsi in modo definitivo, tanto da risultare ad oggi una delle pochissime persone al mondo a doversene ancora servire.
Settant’anni di una vita fortemente condizionata, vissuta prevalentemente confinato tra le salvifiche ma anguste pareti del respiratore, da cui Paul è riuscito ad emergere solo per brevi periodi grazie a delle cure fisioterapiche. La quasi totale paralisi provocata dalla malattia ha segnato Alexander nel profondo, ma non gli ha impedito di raggiungere dei piccoli (grandi) traguardi personali, come il diploma conseguito nel 1967 pur senza frequentare fisicamente le classi, e la laurea in Giurisprudenza nel 1984. Una storia di incrollabile dedizione verso il bisogno di affermarsi, di esistere con dignità a dispetto del dolore. Una tenacia d’acciaio, come il respiratore che gli consente di vivere.