Gimbo Tamberi: il sacro fuoco dell’ambizione
Lo abbiamo visto cadere e rialzarsi, tentandole tutte pur di inseguire un altro sogno olimpico, lungo un percorso irto di insidie. Alla fine la medaglia non è arrivata, ma l’insegnamento di Gimbo va ben oltre il risultato👇
“L’ambizione è un fuoco sacro. Se arde in un contesto in grado di alimentarla in modo positivo, può portare a risultati incredibili”.
Gianmarco Tamberi è la prova vivente di come questo fuoco che arde interiormente possa spingere una persona a tagliare traguardi impensabili, oltre ogni ostacolo, oltre il proprio stesso limite. Perché solo chi è mosso dal sacro fuoco dell’ambizione, come l’atleta marchigiano, riesce a fare quel salto mentale che porta a considerare ogni vittoria come propedeutica alla successiva, ogni risultato funzionale alla crescita, anche quando fisiologicamente la vittoria non arriva. Fa tutto parte di un cammino, di una sfida continua con noi stessi, di una tensione infinita verso l’auto-realizzazione, che non è mai acquisita, ma sempre da ri-definire, da rimettere in discussione. Un mindset degno dello spirito Olimpico.
Nel percorso agonistico di Tamberi non mancano le battute d’arresto, alcune delle quali molto dolorose, spesso dettate dall’imponderabile, bastardamente figlie di una sorte che ha voluto giocare con il ragazzo di Civitanova, mettendone alla prova la resilienza. E Gimbo di volta in volta ha dimostrato di essere uno che non si piega facilmente alle avversità; come quando, nel 2016, si infortunò alla caviglia nel tentativo di superare la misura di 2,41 m, e dovette rinunciare con sommo rammarico alle imminenti Olimpiadi di Rio.
All’epoca nessun dramma, solo tanta voglia di rimettersi in pista, con lo sguardo rivolto alla nuova meta. In fondo c’era solo un’altra prova da superare. Sul gesso ortopedico scrisse le sue intenzioni, chiarissime, come più non si poteva: “Road to Tokyo 2020”. Non aveva certo preventivato lo scoppio della pandemia, che spostò i giochi di un anno, ma si farà trovare lì, pronto a prendersi ciò che il destino gli aveva tolto cinque anni prima. E alla fine sarà medaglia d’oro nel salto in alto, in condominio con il qatariota Barshim. Il premio più ambito, e meritato, per chi non aveva mai smesso di crederci.
La storia delle sue ultime(?) Olimpiadi è emblematica dell’uomo Tamberi, ancor prima che dello sportivo, e ci ricorda che la vita può somigliare a volte ad una gigantesca lotteria, ma va presa così com’è. A pochi mesi dalla partenza per Parigi, un altro infortunio allarma tutti, ma nulla di grave. Gimbo in Francia ci arriva, e lo fa da portabandiera italiano (insieme ad Arianna Errigo) nonché da favorito nella sua specialità. La sera della cerimonia inaugurale fa tuttavia registrare quello che a posteriori può venire letto come un sinistro presagio: la caduta della fede nuziale nelle torbide acque della Senna.
Accade così che a tre giorni dalla prima qualificazione Tamberi finisca al pronto soccorso con dolori lancinanti: probabile calcolo renale. Il campione non ci sta, aspetta che la febbre scenda e parte nuovamente per Parigi, dove giunge in tempo per qualificarsi alla finale, sia pure per il rotto della cuffia. Poi arriva la beffa: una colica renale a meno di 24 ore dalla finalissima lo prova ulteriormente. Tamberi, ancora su un letto di ospedale e piegato in due per il dolore, si ripromette di esserci lo stesso, perché lui su quella pedana vuole salirci, costi quel che costi, nonostante sia evidente a tutti che con un fisico così debilitato è quasi impossibile ripetere il trionfo di tre anni fa in terra giapponese. E infatti ci salirà, sofferente (lo si vede) ma ambizioso e determinato come in ogni altra gara della sua carriera.
Alla fine l’impresa di difendere il titolo Olimpico non riesce, ma è nell’aver tentato in ogni modo di replicarla che è racchiuso l’insegnamento di vita che Gianmarco Tamberi ha trasmesso al pubblico dei giochi.
Copertina📸: Wikipedia