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Robot si suicida per il troppo lavoro

È accaduto a Gumi, in Corea del Sud. Un robot, Robot Supervisor, afflitto dalla pressione e dalla fatica accumulata, avrebbe sviluppato una sorta di consapevolezza e “scelto” di porre fine alla propria esistenza. 

La vicenda ha fatto ben presto il giro del web, attirando la curiosità dei tecnofili e la preoccupazione di chi ancora guarda con sospetto alle intelligenze artificiali. 

Sono in molti ad essersi chiesti cosa sia successo realmente: è stato un guasto a spingere il robot a lanciarsi dalle scale o si tratta di un atto volontario?

La verità, come spesso accade, è più complessa e meno sensazionale di quello che si potrebbe pensare.

Il robot in questione era un normale dispositivo industriale, progettato per svolgere compiti ripetitivi.

Secondo le indagini, non si tratterebbe di suicidio, quanto più di un errore tecnico. Nessuna manifestazione di intelligenza, quindi, né tantomeno di “volontà”. 

Questo evento, tuttavia, ha spinto la comunità globale a riflettere su una domanda: le macchine potranno mai diventare consapevoli? Al punto di provare emozioni come lo stress, la fatica o, addirittura, la disperazione? 

Al momento, la scienza risponde con un categorico no. Nonostante i progressi nell’intelligenza artificiale, vi è ancora una grande differenza tra simulazione e autoconsapevolezza. 

Le macchine possono imitare il comportamento umano, ma non possiedono una loro coscienza o dei sentimenti e desideri propri.

Una nostra proiezione?

L’idea di un robot che si suicida per il troppo lavoro ha alla base una preoccupazione tutta umana.

Da Frankenstein di Mary Shelley fino a Blade Runner, la letteratura e il cinema ci hanno abituati a vedere le macchine come potenziali esseri senzienti, capaci di ribellarsi o di soffrire. 

In realtà, la paura che le macchine possano sviluppare una coscienza, al punto da rifiutare lo stesso lavoro per cui sono state progettate, riflette più le nostre preoccupazioni sociali che un reale rischio tecnologico.

Le pressioni lavorative, la fatica e lo stress sono temi che affliggono gli esseri umani. Il fatto che una storia del genere abbia guadagnato così tanta risonanza dimostra quanto siamo turbati per il nostro stesso rapporto con il lavoro. 

L’automazione sta trasformando radicalmente le dinamiche lavorative, e molti temono che l’aumento di robot e di IA possa portare a un mondo dove la disumanizzazione del lavoro diventerà la norma.

Etica e robot: dove tracciare il confine?

Questo racconto mette in luce anche un’altra questione fondamentale.

Come dovremmo trattare le macchine? 

Anche se non possiedono una coscienza, i robot stanno diventando sempre più parte integrante delle nostre vite. Non solo nei luoghi di lavoro ma anche nelle case, negli ospedali e persino nei sistemi di sicurezza. 

Come dovremmo programmare e gestire questi dispositivi?

Alcuni studiosi sostengono che, per prevenire scenari come questo, dovremmo sviluppare codici etici che regolarizzino il loro utilizzo. 

Anche se un robot non può suicidarsi, in senso letterale, l’abuso e l’eccessivo sfruttamento di queste macchine è una mancanza di responsabilità da parte degli esseri umani.

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