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La religione vista dalla scienza

Quello fra religione e scienza è un conflitto che si protrae da secoli. L’una non ammette l’altra: sono considerate come dei mondi a parte, impossibili da conciliare.  

In realtà, a ben vedere, non è esattamente così. Sono in tanti, fra psicologi, antropologi, biologi e sociologi ad essersi interessati alla religiosità, spinti soprattutto da un particolare quesito: perché gli esseri umani hanno sviluppato e mantenuto credenze religiose?

La religione è un sottoprodotto cognitivo

Uno degli aspetti più interessanti del pensiero umano è la cosiddetta capacità di metarappresentazione. Gli esseri umani hanno la capacità, implicita, di “leggere” la mente degli altri. Possiamo prevedere il nostro comportamento e quello degli altri, facendo leva su considerazioni fisiche o affidandoci alla convinzione che ciò che muove il mondo siano gli stati mentali e che gli altri siano come noi. 

Tale abilità, elaborata nella teoria della mente, ci permetterebbe, quindi, di prevedere il comportamento degli altri esseri umani. Al contempo, però, potrebbe condurci a percepire intenzioni dove non ce ne sono. 

Quando un evento inspiegabile accade, il cervello potrebbe essere incline ad attribuirlo a una qualche entità, come una divinità o uno spirito, dotata di raziocino e volontà propria.

Questo fenomeno, noto come animismo, è alla base di molte religioni primitive. Queste vedono ogni elemento naturale, dalle piante agli animali, come dotato di un’anima o spirito.

La religione, secondo questo approccio, è vista come una sorta di bug cognitivo, un eccesso di attivazione della nostra capacità di percepire agenti in contesti dove non esistono.

Religione ed evoluzione

Una delle teorie più affermate negli studi sulla religione sostiene che la religione sia un meccanismo sviluppato dagli uomini per sopravvivere in ambienti ostili e complessi. Un adattamento evolutivo, insomma.

In questa prospettiva, la religione non sarebbe un semplice sottoprodotto della mente umana, ma una caratteristica selezionata.

La teoria della coesione sociale

Secondo molti antropologi e sociologi, la religione funge da collante sociale. La sua funzione, nello specifico, sarebbe quella di promuovere cooperazione e solidarietà. 

Credere in divinità che impartiscono punizioni per comportamenti antisociali, inoltre, potrebbe creare un senso di responsabilità che va a ridurre notevolmente i conflitti interni.

La religione come sistema di significato

Oltre agli aspetti evolutivi e cognitivi, la religione può anche essere vista come un sistema di significato. 

La vita umana è spesso caratterizzata da sofferenza, incertezza, ingiustizie. Eventi inspiegabili, difficili da accettare, e, prima ancora, da comprendere.

La religione permetterebbe, in quest’ottica, di attribuire un senso al mondo e all’esistenza stessa. Offrirebbe delle narrazioni che forniscono delle spiegazioni e, al contempo, aiutano gli uomini ad affrontare tali esperienze.

Un meccanismo di controllo sociale

Sono in tanti, a partire da Karl Marx e Max Weber, ad aver esplorato il ruolo di controllo sociale svolto dalla religione. In questa prospettiva, la religione sarebbe un mezzo di legittimazione attraverso cui le élite politiche e religiose acquistano e mantengono il potere e l’ordine.

Marx descriveva la religione come l’oppio dei popoli, suggerendo che essa servisse a mantenere i lavoratori e le classi subalterne in uno stato di accettazione passiva delle proprie infelici condizioni.

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