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“Hereditary – Le Radici del Male”: Un incubo che germoglia nella mente e nel cuore

Hereditary, diretto da Ari Aster, non è solo un film horror: è un’esperienza viscerale, una discesa lenta e inesorabile nella follia, che affonda le sue radici in una tragedia familiare per poi fiorire in un crescendo di puro terrore. Questo capolavoro moderno rielabora il concetto di eredità — non solo genetica, ma emotiva e spirituale — mostrando come i segreti di una famiglia possano trasformarsi in maledizioni inarrestabili.

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La trama si apre con il lutto. Annie Graham (Toni Collette), artista specializzata in diorami inquietanti, perde la madre, una figura enigmatica e manipolatrice. Ma la morte non porta sollievo: l’ombra della defunta sembra infestare la casa e i Graham si trovano intrappolati in una spirale di eventi sempre più sinistri. Al centro del dramma c’è anche Charlie (Milly Shapiro), la figlia adolescente che, con i suoi comportamenti strani e il tic ritmico dello schiocco della lingua, è l’epicentro di un’atmosfera di inquietudine che permea ogni scena.

Toni Collette offre una performance monumentale, capace di passare dalla vulnerabilità al puro terrore con una naturalezza che lascia senza fiato. Annie è un personaggio complesso, spezzato da un passato di traumi mai elaborati, e Collette riesce a catturare ogni sfumatura, rendendo palpabile il suo dolore. Il resto del cast, da Gabriel Byrne come il marito incredulo a Alex Wolff come il figlio tormentato, costruisce un mosaico familiare che si sgretola sotto il peso di segreti e tensioni.

Ari Aster non si limita a spaventare: costruisce un’atmosfera soffocante, dove ogni dettaglio è studiato per insinuare disagio. La casa stessa, un personaggio a sé stante, è un luogo di ombre e spazi troppo silenziosi, dove ogni angolo sembra nascondere una minaccia. La regia è metodica, con movimenti di macchina che creano un senso di inevitabilità, come se gli eventi fossero guidati da una forza invisibile e inarrestabile. La fotografia di Pawel Pogorzelski gioca con luci e ombre per suggerire una costante ambiguità tra il reale e il soprannaturale.

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Il significato di Hereditary è stratificato. Da un lato, è una riflessione sull’eredità emotiva: i Graham non possono sfuggire al peso dei traumi trasmessi di generazione in generazione. Dall’altro, il film esplora il senso di impotenza di fronte a un destino predeterminato. Gli elementi soprannaturali, che inizialmente sembrano vaghi e ambigui, si consolidano in un finale tanto scioccante quanto inevitabile, che ricollega ogni indizio seminato lungo il percorso.

L’orrore di Hereditary non si basa solo sui momenti di paura visiva — sebbene ce ne siano di indimenticabili, come una certa scena nella soffitta che farà accapponare la pelle. È un terrore che cresce lentamente, che si radica nelle relazioni tra i personaggi e nel senso di colpa che li logora. Questo è un film che ti segue ben oltre i titoli di coda, lasciandoti a riflettere sull’inevitabilità del dolore e sulla fragilità della mente umana di fronte all’ignoto.

In definitiva, Hereditary è un horror che trascende il genere. È una tragedia familiare, un incubo visivo e una meditazione sul peso del passato. Guardarlo è come assistere a un fuoco lento che si trasforma in un’esplosione devastante: sai che qualcosa di terribile sta per accadere, ma non puoi distogliere lo sguardo. E quando tutto è finito, ti rendi conto che le radici di questo incubo sono penetrate anche nella tua mente.

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