Mirko Saric: il dramma della ‘Joya’ dimenticata
Giovane promessa del calcio argentino di fine ’90, si tolse la vita a soli 22 anni al culmine della depressione. Questa è la sua vera storia👇
‘Joya’ in Spagnolo significa gioiello, luccicante, prezioso, che balza agli occhi, che rapisce lo sguardo con la sua ammaliante bellezza. L’etimologia lo fa risalire al Francese antico ‘Joel’, a sua volta derivazione dal volgare Latino ‘iocale’ ovvero relativo al gioco, e quindi alla ‘gioia’ che esso procura, alla dimensione ludica della vita. Se in Europa sono state inventate le regole del gioco più bello al mondo, in Sudamerica è nata la passione per il gioco, con un vasto assortimento di soprannomi più o meno evocativi da attribuire ai suoi protagonisti, prendendo spunto talvolta da caratteristiche fisiche, talaltra dal cassetto delle emozioni. Nella seconda metà degli anni ’90, in Argentina, per i tifosi del San Lorenzo de Almagro la “Joya” era il soprannome di un giovane calciatore dal futuro promettente: Mirko Saric.
Non ci voleva molto a capire perché quello fosse il soprannome giusto. Fisico statuario, dall’alto del suo metro e 88 centimetri riusciva a disimpegnarsi agevolmente in tutte le zone del campo, abbinando però alla naturale rocciosità della struttura fisica una tecnica di base ed una visione di gioco da centrocampista illuminato. Con simili qualità, Saric non faticò ad imporsi sui coetanei nelle giovanili del San Lorenzo, club del quartiere Boedo di Buenos Aires di cui era un ‘aficionado’ fin da bambino. La voce sul suo talento si sparse in fretta e ben presto il ragazzo iniziò ad orbitare intorno alla prima squadra. Il tecnico Carlos Aimar lo farà esordire il 12 Novembre 1996, a 18 anni compiuti, mandandolo in campo nei minuti finali di Union Deportiva-San Lorenzo, ultima giornata del campionato argentino di apertura.
Gli esordi furono molto convincenti. Con l’arrivo sulla panchina del Ciclòn di Jorge Castelli, Saric venne promosso in pianta stabile tra i grandi. Perché Mirko a quel livello poteva starci eccome. Per il debutto da titolare bisognerà aspettare l’anno successivo, nella partita vinta per 5 a 2 dal San Lorenzo contro il River Plate. A stretto giro sarebbe arrivato anche il primo gol da professionista, un superbo sinistro volante dal limite dell’area contro il Racing. Del giovane nativo di Flores(barrio di Buenos Aires), ma di origini croate, impressionavano la capacità di reggere il centrocampo come pochi altri della sua età, abbinando una forza fisica da mediano a doti tecniche degne di un trequartista. L’accostamento, non così irriverente, era al modo di giocare di Fernando Redondo, all’epoca centrocampista in forza al Real Madrid. Non a caso, proprio quando l’ascesa di Saric appariva inarrestabile, si parlò insistentemente di un interessamento del club madrileno, che venne a bussare alle porte del San Lorenzo. In breve tempo, gli sarebbe stata aperta anche la strada della nazionale maggiore argentina, presso la quale Saric, a suon di prestazioni, si era guadagnato i favori di un estimatore speciale.
Mirko ha delle doti uniche, tra queste una mentalità che è assai raro trovare in un calciatore così giovane. Sono sicuro che diventerà uno dei pilastri della nostra nazionale.” (Marcelo Bielsa)
Il brusco declino e il dramma. Un gioiello, per quanto possa abbagliare tutti con la sua bellezza, può anche rivelarsi tremendamente fragile, a tal punto da rompersi. Accadde così che ad inizio 1999, nel momento in cui il ragazzo di Flores sembrava sul punto di spiccare definitivamente il volo( e verosimilmente verso l’Europa), il suo rendimento calò in maniera drastica, e la squadra ne risentì fortemente, tanto da indurre l’allora allenatore del San Lorenzo (che nel frattempo era diventato Oscar Ruggeri) a relegarlo in panchina. Si era rotto qualcosa dentro Mirko, e dall’esterno si faticava a comprendere quale fosse il vero motivo di una trasformazione del genere. Uno degli elementi più forti di quella formazione era divenuto di colpo irriconoscibile. Solo chi gli era davvero vicino sapeva cosa stesse succedendo nella sua vita da un po’ di tempo a quella parte.
Un tradimento, quello della sua ragazza (nonché futura moglie), consumato mentre il calciatore si trovava lontano da casa, in tournée con l’Albiceleste, che produsse una gravidanza di cui Mirko, su pressione della madre, avrebbe scoperto di non possedere la paternità. Fu un autentico shock. Il sogno che diventa incubo, il mondo che ti crolla addosso. La spirale negativa che avvolse di lì in avanti il ragazzo si arricchì di un episodio chiave nel farlo sprofondare nel baratro psicologico al quale si stava pericolosamente avvicinando: durante un San Lorenzo-River Plate del campionato riserve, nel tentativo di controllare un pallone Saric cadde rovinosamente al suolo, toccandosi il ginocchio destro tra grida disperate. La diagnosi fu tremenda: Mirko aveva riportato la rottura del legamento crociato e sarebbe stato costretto a fermarsi per almeno sei mesi, saltando così le Olimpiadi del 2000 a cui avrebbe dovuto prendere parte con l’Argentina.
Lo stop forzato dal calcio, unito al dolore provato per le sopracitate vicende personali, non fece che acuire il problema con cui aveva a che fare. Un problema che aveva un nome ben preciso: depressione. Mentre tutti intorno a lui si domandavano dove fosse finito il prodigio del settore giovanile, mentre i giornali, senza conoscere la verità, speculavano sulle cause del suo calo di rendimento, addebitandolo a presunti ‘comportamenti poco professionali’ tenuti dal calciatore lontano dal terreno di gioco, nella testa si faceva strada un’idea, una sola, tremenda, l’unica ritenuta percorribile, e che si sarebbe drammaticamente realizzata la notte tra il 2 e il 3 aprile del 2000, quando Mirko Saric, appena ventiduenne, decise di togliersi la vita, legando una corda al soffitto della sua stanza, nella casa natale.
Per la famiglia, il dolore immane per la perdita di un figlio. Per il calcio argentino, il rammarico di non aver potuto vedere la crescita di uno dei suoi talenti più cristallini.