Il soft power coreano e calcio: dalle accademie ai brand
In un’epoca in cui lo sport dialoga sempre più con il marketing e la geopolitica, quale ruolo potrebbe giocare il nostro calcio in questo contesto internazionale? La nostra analisi 👇
Quando pensiamo alla Corea del Sud, inevitabilmente il nostro immaginario si popola di volti iconici del k-pop, k-dramas che conquistano milioni di spettatori e, più recentemente, anche calciatori che calcano i campi dei principali campionati europei. Questo perché esiste un filo che lega la cultura pop sudcoreana al mondo del calcio: un filo che intreccia cultura, diplomazia e una visione di marketing ben definita.
Ad oggi, di fatto, non sarebbe utopistico parlare di una rivoluzione culturale ed economica da parte della Corea del Sud anche nel campo dello sport. E, nonostante il calcio non sia lo sport più popolare nel Paese, importanti brand sudcoreani hanno scelto di legare il proprio nome a squadre calcistiche, sfruttando così al meglio il concetto di soft power.
Cos’è il soft power e come esso influenza le scelte dei consumatori
Il concetto di soft power marketing si basa sull’idea di influenzare il comportamento e le scelte dei consumatori in modo assolutamente non invasivo, con l’intenzione di creare un legame stabile e duraturo con il brand attraverso valori condivisi, credibilità e cultura.
Naturalmente, come abbiamo già detto, nello sport il soft power rimane un’arma fondamentale per attrarre tifosi e sponsor. Aziende come Samsung, LG e Hyundai hanno saputo sfruttare le sponsorizzazioni nel settore sportivo per consolidare la loro presenza globale. Dalla Premier League alla Bundesliga, il legame tra Corea del Sud ed Europa è sempre più saldo, permettendoci di parlare di una vera e propria operazione culturale.
Il caso Son Heung-min: un’icona globale
Parlare di calcio sudcoreano in Europa, per quanto banale possa sembrare, significa inevitabilmente parlare di Son Heung-min, capitano del Tottenham e simbolo di un paese che ha tutti i presupposti per affermarsi oltre i confini nazionali. La figura dell’attaccante, di fatto, incarna il perfetto esempio di soft power, trattandosi a tutti gli effetti di un ponte tra due mondi.
Adorato dai tifosi per la sua umiltà oltre che per la professionalità, Son rappresenta ciò che la Corea del Sud vuole comunicare efficacemente al mondo: una nazione moderna, competitiva, capace di eccellere in ambiti diversi. Eppure, il suo successo non è del tutto dovuto ad un exploit casuale; difatti, dietro la sua ascesa c’è una precisa strategia diplomatica, che vede la Corea del Sud promuovere i propri talenti come ambasciatori culturali.
Le accademie calcistiche: fucina di talenti e ambasciatori culturali
Mentre le collaborazioni nel settore calcistico portavano risultati, la Corea del Sud ha investito in un sistema calcistico strutturato, partendo proprio dalle accademie giovanili, dove i giovani talenti vengono formati sia sul piano tecnico che disciplinare.
Il rigore impartito ai ragazzi richiama i valori confuciani di rispetto, umiltà e dedizione. Questo approccio si riflette nel comportamento dei calciatori sudcoreani una volta approdati in Europa, i quali mantengono valori condivisi che vanno oltre le dinamiche sportive.
Il loro modo di porsi – rispettoso, riservato e lontano da qualsiasi forma di arroganza – riflette un’intera cultura. Ma è sufficiente il talento calcistico per affermarsi in un contesto europeo competitivo e altamente esigente? O è proprio questa dimensione culturale a rendere i calciatori sudcoreani figure così apprezzate?
L’Italia e i calciatori sudcoreani: siamo pronti?
E in Italia? Nonostante la Serie A sia uno dei campionati più prestigiosi al mondo, ha visto ancora pochi calciatori sudcoreani tra le sue fila. Siamo davvero pronti ad accogliere un talento proveniente da una cultura così diversa dalla nostra? Beh, la sincera e reale risposta potrebbe essere in bilico tra il sì e il no.
Nonostante ciò, il nostro campionato potrebbe trarre enorme beneficio dall’ingresso di un giocatore sudcoreano. Non solo per il valore tecnico, ma anche per il richiamo mediatico e commerciale che inevitabilmente genererebbe. Basti pensare che club come la Roma hanno già stretto una partnership con Hyundai, mostrando quanto i brand sudcoreani siano interessati a investire nel nostro campionato.
Immaginiamo un’ulteriore collaborazione, magari con un talento sudcoreano come volto principale. Sarebbe solo una questione economica? O potrebbe rappresentare una svolta culturale, capace di aprire il calcio italiano a nuovi mercati e nuove narrazioni?
Conclusione: il soft power come strumento di diplomazia sportiva
Il soft power coreano non si ferma ai confini del rettangolo di gioco. L’influenza culturale si riflette anche nelle scelte di marketing dei club e delle federazioni calcistiche, che vedono nei calciatori sudcoreani non solo atleti di alto livello, ma anche veicoli di connessione con un pubblico internazionale sempre più attratto dalla cultura asiatica.
La domanda è: l’Europa è pronta a riconoscere il valore di questo dialogo? E l’Italia saprà cogliere questa opportunità per aprire le porte a un nuovo modo di vivere il calcio, dove sport e cultura si fondono in un unico racconto?
Forse è solo questione di tempo. E forse il prossimo grande talento sudcoreano che vedremo in Serie A sarà molto più di un semplice calciatore. Sarà un ambasciatore di un mondo che ha ancora molto da raccontare.