“Non dico addio”: il significato dietro il nuovo titolo di Han Kang
Tra memoria, amicizia, alter ego e dolce nostalgia: il concetto di memoria rivisto in “Non dico addio”, la nuova opera di Han Kang.
Quando si legge un libro si forma un tacito accordo tra autore e lettore. L’autore si fa carico di avere qualcosa da dire, e del compito di provare a dirlo al suo meglio. Il lettore però a sua volta si impegna ad affidarsi all’autore, a lasciare che le sue parole si facciano largo in lui.
Quindi, forse, dietro il nuovo titolo di Han Kang si celano due diverse voci: quella dell’autrice, che si rivolge alle persone incontrate e non, alla storia del proprio paese, e forse anche un po’ a se stessa. Ma anche la voce di chi si accinge a leggerlo, che promette di non dire addio alla possibilità racchiusa in quelle pagine, né a chi su quelle pagine ha versato inchiostro, e anche qualcosa di sé.
La trama del libro
All’interno di Non dico addio, troviamo infatti un mirabile esempio di fusione tra realtà e creazione letteraria: la protagonista Gyeong-ha sembra essere un esatto alter-ego dell’autrice. Anch’essa è una scrittrice, anch’essa madre, e tra i suoi lavori ce n’è uno in particolare, dedicato a un massacro nel quale è ravvisabile quello di Gwangju raccontato in Atti Umani, che l’ha resa “un corpo trafitto, lacerato. Un corpo che respinge, abbraccia, si aggrappa. Un corpo in ginocchio. Un corpo implorante”.
Per sfuggire al trauma che le ricerche su massacri e torture le ha innescato, Gyeong-ha si ritira perciò in un isolamento completo, fino a iniziare ad arrivare a passare intere giornate a scrivere e riscrivere il proprio testamento. Il suo addio. Un giorno però le arriva uno strano messaggio da parte di In-seon, amica ed ex-collega, che le chiede se può raggiungerla presso un ospedale di Seoul. Una volta qui, Gyeong-ha trova l’amica feritasi gravemente alla mano mentre era intenta a lavorare nel suo laboratorio di falegnameria.
A differenza di quello che però aveva sospettato la richiesta di In-seon non ha a che fare con ospedali o assicurazioni, ma le fa promettere che quel giorno stesso sarebbe partita per recarsi nella sua casa, sull’isola di Jeju, per dare da bere al suo pappagallino che, rimasto da solo, rischia di morire.
Qui comincia il viaggio di Gyeong–ha, da subito non facile. Ma il viaggio inizierà a mescolarsi con visioni che intrecciano memoria, lutto, amori e addii, divenendo una nuova discesa agli inferi. Gyeong-ha si immerge nella storia della famiglia di In-seon e dei suoi genitori, due dei pochi sopravvissuti al massacro di Jeju, un attacco ai danni di trentamila civili, ingiustamente accusati di essere comunisti durante uno dei periodi di massimi tumulti e tensioni all’interno del Paese, recentemente diviso in due.
Il concetto di memoria in Non Dico Addio
In questo libro la Kang riesce nuovamente a fondere il piano personale a quello storico di un’intera comunità. L’amore rappresentato passa dal livello intimo – quello che lega fratelli e sorelle, genitori e figli – a quello collettivo, nella quale i legami vengono sanciti non dal sangue che scorre nelle proprie vene, ma da quello versato da donne, giovani e bambini.
Scavando negli eventi e nei recessi della storia questo libro sembra porsi uno scopo ben preciso: stigmatizzare la memoria. Quella del ricordo di un trauma collettivo che non si arrende all’oblio, ma che si rigenera ampliato e diversificato, anche a distanza di anni; riproponendosi incompleto, manchevole, irrisolto e capace di influire sull’eredità generazionale di un popolo, che oggi più che mai sente il bisogno di fare i conti con il proprio passato.
Ed è proprio questa la grande capacità di Han Kang: rendere la memoria, con i suoi dolori, in poesia. Rendere l’ambivalenza della vita e della morte, dell’amore e del dolore. Un dolore che non si dimentica. Un dolore che si vive e si condivide, una forza che viene dall’interno ma è rivolta verso l’esterno, desiderosa di approdare da qualche parte.
Perché la memoria è il contrario dell’addio, e quello che Han Kang sembra esprimere a gran voce con il suo titolo è che l’ineffabile e l’orrore si possono combattere solo non mettendoli a tacere, e che per questo, lei non ha intenzione di dire addio. E forse, ci chiede anche un, nuovo, tacito accordo di non dirlo nemmeno noi.