Il movimento del 1° marzo: l’alba del risveglio nazionale coreano
Una giornata simbolo della lotta per l’indipendenza della Corea, in cui il sacrificio e il coraggio di un popolo hanno segnato la storia. Il Samiljeol non è solo un ricordo, ma un monito per le generazioni future sulla forza della libertà. 👇

Il movimento del 1° marzo 1919, noto in Corea del Sud come Samiljeol (삼일철), rappresenta una delle pietre miliari nella storia della resistenza coreana contro l’occupazione giapponese (1910-1945). Questa giornata solenne, commemorata ogni anno con estremo fervore patriottico, simboleggia senz’altro l’aspirazione di un popolo alla libertà e alla riaffermazione della propria identità politica e culturale.
Le celebrazioni del Samiljeol, infatti, vanno ben oltre il semplice ricordo storico. Attraverso manifestazioni pacifiche, milioni di coreani si unirono in un grido di libertà, sfidando con coraggio la repressione e pagando un prezzo altissimo per il sogno di un futuro indipendente.
Il contesto storico: dall’isolamento alla colonizzazione
La fine del XIX secolo segnò un periodo di grande instabilità per la Corea, allora governata dalla dinastia Joseon. Questo regno, che per oltre cinque secoli aveva guidato il Paese con un sistema rigidamente confuciano, si trovò ad affrontare le pressioni delle potenze straniere, tra cui la Cina, la Russia e soprattutto il Giappone, che ambiva ad espandere la propria influenza sulla penisola.
Dopo la vittoria dei nipponici nella guerra russo-giapponese (1904-1905), la Corea divenne un protettorato giapponese nel 1905 e, pochi anni dopo, nel 1910, fu ufficialmente annessa all’Impero del Sol Levante. L’occupazione nipponica, di fatto, si tradusse in seguito in una violenta repressione culturale: la lingua coreana venne bandita dalle scuole, la storia della Corea riscritta e le tradizioni religiose furono soffocate sotto il peso della propaganda imperiale.
Inoltre, il popolo coreano fu sottoposto a severe politiche di assimilazione forzata, che includevano la sostituzione dei nomi coreani con quelli giapponesi e l’imposizione di pratiche culturali estranee alla loro identità nazionale.
La nascita del movimento per l’indipendenza
Il Movimento del 1° marzo scaturì in un contesto di crescente insofferenza nei confronti dell’oppressione giapponese, accentuata dalla morte del deposto imperatore Gojong nel gennaio del 1919, evento che diffuse il sospetto che fosse stato avvelenato dai giapponesi. Fu proprio in questo clima di tensione che un gruppo di intellettuali coreani redasse la Dichiarazione d’Indipendenza, un documento ispirato ai principi di autodeterminazione nazionale sanciti dal presidente statunitense Woodrow Wilson alla fine della Prima Guerra Mondiale.
Il 1° marzo 1919, trentatré rappresentanti del movimento, noti come i “Samilsamchŏn”, si riunirono presso il Parco Tapgol di Seoul per proclamare pubblicamente l’indipendenza della Corea. Contemporaneamente, la dichiarazione venne diffusa in tutto il Paese, dando inizio a una serie di manifestazioni pacifiche che coinvolsero oltre due milioni di persone in più di 1.500 proteste diffuse in tutta la penisola. Le proteste si estesero rapidamente alle campagne, ai villaggi e alle città più remote, unendo coreani di ogni estrazione sociale in un unico grido di libertà.
Repressione e sacrificio: il prezzo della libertà
Nonostante la natura pacifica delle manifestazioni, la reazione giapponese fu brutale. Le forze coloniali repressero nel sangue il movimento, uccidendo circa 8.000 manifestanti, ferendone oltre 15.000 e arrestando più di 45.000 persone. Scene di violenza si verificarono in ogni angolo del Paese, con episodi simbolici come il massacro nella chiesa di Jeam-ri, dove decine di coreani furono bruciati vivi per essersi rifiutati di giurare fedeltà all’Impero giapponese.
Tra le figure di spicco del movimento, emerge il nome di Yu Gwan-sun. Questa studentessa, nonostante la sua giovane età, divenne il volto della resistenza. Arrestata e torturata fino alla morte nel 1920, il suo sacrificio continua a essere celebrato come esempio di coraggio e determinazione. Molti altri patrioti seguirono la sua sfortunata sorte, affrontando detenzioni durissime nelle carceri coloniali, dove venivano sottoposti a trattamenti inumani.

L’impatto del movimento del 1° marzo
Sebbene il Movimento del 1 marzo non abbia immediatamente portato all’indipendenza della Corea, esso segnò una svolta nella lotta contro l’occupazione giapponese. La pressione internazionale indusse il Giappone a modificare la propria politica coloniale, passando dal “Governo Militare” a un’amministrazione civile leggermente più permissiva. Quest’ultima concesse alcune limitate libertà, come una stampa meno censurata e la possibilità di un’educazione più accessibile. Tuttavia, la ferita dell’occupazione restò aperta, e il desiderio di libertà non si spense mai.
Inoltre, il movimento stimolò la nascita del Governo Provvisorio della Repubblica di Corea, istituito in esilio a Shanghai, sotto la guida di Syngman Rhee. In seguito, nel 1948 egli divenne il primo presidente della Corea del Sud indipendente. Questo governo in esilio costituì il nucleo da cui, dopo la Seconda Guerra Mondiale, nacque la Repubblica di Corea.
La commemorazione e il significato contemporaneo
Oggi, il 1° marzo è celebrato come festa nazionale in Corea del Sud. Le strade si riempiono di bandiere nazionali (Taegeukgi), simbolo dell’unità e della resilienza del popolo coreano. Oltre alla solennità del ricordo, la giornata è anche un’occasione di festa, con parate, eventi culturali e spettacoli tradizionali che coinvolgono l’intera popolazione.