Juventus senza bussola: crisi di identità e prospettive incerte
Caos, insicurezza, mancanza di risposte. La Juventus di Thiago Motta si trascina in un limbo pericoloso, incapace di imporsi, di trovare un’identità. È il momento di guardare in faccia la realtà: forse questa squadra ha davvero un problema profondo e il tempo per rimediare sta scadendo. 👇

C’è un momento nel calcio in cui l’essenza di una squadra si svela nella sua nuda verità. Un attimo in cui non ci si può più rifugiare nelle alchimie tattiche, nelle giustificazioni legate alla preparazione atletica o nelle contingenze sfavorevoli. Per la Juventus di Thiago Motta, quel momento si è materializzato con una violenza quasi brutale nella sfida di Coppa Italia contro l’Empoli, lasciando in eredità un interrogativo che martella la mente dei tifosi: dove sta andando questa squadra?
La Juventus è apparsa priva di un’identità tecnica definita, sospesa tra la ricerca di un ordine sistemico e il peso di individualità incapaci di elevarsi oltre l’anonimato di una prestazione piatta. Il primo tempo ha rappresentato una sequenza di eventi che si sono susseguiti con la precisione di un esperimento scientifico che ripete inesorabilmente lo stesso esito fallimentare. Gli scettici, a questo punto, direbbero “l’avevo già previsto”.
Il dato che emerge con maggiore inquietudine è la qualità dei singoli gesti tecnici: passaggi sballati, scelte miopi, movimenti sfilacciati, mancanza di lucidità nelle transizioni offensive e un’inquietante fragilità nei duelli individuali.
Emblematico è stato il pallone perso che ha dato il via alla prima rete avversaria: un errore che, considerato singolarmente, potrebbe essere declassato a episodio sfortunato, ma che si inserisce in una trama più ampia fatta di insicurezze, di un sistema che fatica a dare punti di riferimento ai suoi interpreti. La Juventus di Motta si è progressivamente adattata a una filosofia più diretta, meno avviluppata nel possesso esasperato che aveva caratterizzato la prima parte della stagione, eppure continua a sembrare un organismo in fase di transizione, una squadra che si muove con passi incerti su un terreno instabile.
Questa fragilità ha raggiunto il suo culmine negli ultimi cinque minuti del primo tempo, quando l’Empoli ha sfiorato più volte il raddoppio senza dover ricorrere a trame particolarmente sofisticate. Bastano pochi scambi precisi, movimenti elementari ma sincronizzati, per mettere a nudo una Juventus incapace di reagire con compattezza. L’azione più surreale è stata il lancio lungo di Vasquez: un’iniziativa semplice, quasi istintiva, che ha trovato la retroguardia bianconera priva di coordinazione, lasciando a Konate il tempo di calcolare ogni possibile variabile prima di concludere a rete. Un’azione che ha evidenziato non solo lacune difensive, ma anche una certa mancanza di comunicazione tra i reparti, un dettaglio che rende ancora più preoccupante l’attuale stato della squadra.
L’assenza di risposte dalla panchina è stato un altro segnale preoccupante. Motta, nonostante la sua furia visibile a bordocampo, ha scelto di non intervenire immediatamente, quasi volesse affidarsi a una reazione spontanea dei suoi uomini. Ma il calcio, soprattutto ai livelli più alti, non concede spazio a queste romantiche attese: la ripresa si è aperta con la stessa inerzia, e l’Empoli ha colpito ancora, approfittando di una Juventus ancora intontita dai propri dubbi. La lettura della partita non è mai stata lucida, e i cambi operati dopo il 54’ hanno dato un minimo di ordine alla manovra, ma non abbastanza da trasformare l’inerzia della gara.
Paradossalmente, l’episodio che ha riportato in equilibrio il match è stato un gesto di pura genialità individuale, una giocata di Thuram che ha risvegliato per un istante l’illusione che il talento possa ancora prevalere sulla disfunzione collettiva. Ma se un tempo – neanche troppo remoto – la Juventus era una squadra che vinceva attraverso la propria superiorità strutturale, ora sembra aggrapparsi a lampi isolati, a colpi estemporanei che mascherano solo temporaneamente le falle di un impianto fragile. Il calcio, tuttavia, è un gioco di equilibri sottili: la capacità di incidere non si può esaurire in sprazzi di classe, ma richiede una coesione collettiva che attualmente sembra mancare.
A inquietare, più della sconfitta in sé, è l’assenza di una direzione chiara. Gli interrogativi su Vlahovic si moltiplicano: è il sistema a penalizzarlo, o è lui a non trovare più la misura del proprio ruolo? Il rigore sbagliato è diventato il simbolo di una crisi più profonda: la rincorsa spezzata, la postura verosimilmente innaturale, il tiro che sembra frutto di un pensiero inceppato prima ancora che di una semplice imprecisione tecnica. Il centravanti serbo appare spesso spaesato, prigioniero di un gioco che non valorizza le sue caratteristiche e di una squadra che non lo supporta adeguatamente.
Alla fine di tutto, resta la sensazione di un progetto ancora acerbo, di una squadra che non sa se essere vittima di una costruzione tattica imperfetta o della propria mediocrità individuale. Thiago Motta ha parlato di atteggiamento, ma la questione sembra essere ben più articolata: la Juventus sta cercando una nuova identità, ma il tempo concesso per trovarla si sta esaurendo. Il futuro della squadra appare incerto, e le prossime settimane saranno decisive per comprendere se ci sia margine per una rinascita o se questa stagione sia destinata a concludersi con una dolorosa resa.
Fonte copertina: Goal.com