Speciale Corea del Sud

Corea del Sud: dai tumulti politici alle rivolte studentesche che portarono alla democrazia

La democrazia in Corea del Sud, contrariamente a quanto si possa pensare, non è sempre esistita. Come nella Corea del Nord, anche la vita di molti cittadini sudcoreani è stata segnata dalla dittatura.

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Un confronto tra le due Coree

Quando si parla delle due Coree si tende a fare una divisione netta: totalitarismo, regime militare, oppressione ed estremismo al Nord; libertà, progresso, modernità e democrazia al Sud. Quello che però in pochi sanno è che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale – e della divisione dell’isola in due  – fino all’avvento di una vera e propria democrazia negli anni Novanta, anche la Corea del Sud è stata segnata da una serie di dittature celate dietro la designazione di Repubblica.

La repressione sotto Yi Sungman

Al termine della Guerra di Corea, nel 1953, i due Paesi si trovarono nella necessità di difendere e consolidare il proprio potere. Al Sud l’attuale presidente Yi Sungman, eletto nel 1948, nonostante le note denunce di brogli, intimidazioni e violenze contro gli oppositori politici, aveva fondato nel 1951 il Partito Liberale, governando dittatorialmente fin da subito, esercitando una repressiva censura contro qualunque voce di opposizione.


Con Yi inizieranno così le serie di rivolte studentesche che caratterizzeranno per anni la politica sudcoreana, ma ottennero solo pesanti soppressioni, con anche l’utilizzo della violenza e delle forze armate, con l’invio di squadroni anti-comunisti che si scagliarono contro gli studenti con manganelli e catene, senza differenziazioni di età o genere.

La Rivoluzione del 19 aprile 1960

Nel 1960, però, gli studenti di ben sei università di Seoul si organizzarono per una nuova protesta che sarebbe scoppiata il 19 aprile, passata alla storia come “4.19” o “Rivoluzione del 19 aprile”. Queste proteste, con i loro feriti e i loro morti, costringeranno lo stesso Yi alle dimissioni il 26 aprile e alla fine della Prima Repubblica.

Era l’inizio della lotta per la democratizzazione della Corea del Sud. Da Seoul a Incheon, da Daegu fino a Gwangju, in tutta la Corea del Sud si levava unanime la voce dei liceali che chiedevano democrazia e libertà.

La riforma Yusin e la dittatura di Park Chonghui

Negli anni successivi la Corea del Sud si vide caratterizzata da disordini politici e da un generale clima di tensione, con il suo apice nel 1972, con la riforma Yusin (유신 헌법, letteralmente “rinnovamento” o “restaurazione”) di Park Chonghui, leader dell’ennesima dittatura che limitava qualsiasi libertà politica.

Tuttavia, il popolo sudcoreano aveva ormai tratto ispirazione dalle rivolte di aprile, che gettarono le basi per la rivolta popolare di Gwangju del 1980, durante la quale centinaia di studenti scesero in piazza per opporsi alla legge marziale che attribuiva poteri quasi dittatoriali al Presidente.

Il massacro di Gwangju: una ferita ancora aperta

Gli eventi di quei giorni verranno ricordati nella memoria coreana come “il massacro di Gwangju”. Le dichiarazioni ufficiali segnalarono la morte di circa 200 persone, ma il censimento della popolazione rivela che più di 2.000 cittadini residenti a Gwangju sparirono durante quel breve ma intenso periodo.


A causa della forte censura attuata sotto il regime, le notizie degli eventi in corso erano sconosciute non solo all’estero, ma anche all’interno dello stesso Paese, quasi tutto il resto della penisola era all’oscuro di ciò che stava succedendo nella città di Gwangju, cosa che favorì il continuo rifiuto, da parte del governo militarista, di riconoscere la realtà dei fatti.


La maggioranza dei media coreani furono messi a tacere, e se non fosse stato per alcuni pochi e coraggiosi giornalisti stranieri, forse ancora oggi non potremmo avere prove che testimonino le violenze di quei giorni.

Il riconoscimento e la memoria del massacro

Fortunatamente, nonostante le continue smentite da parte dei vari esponenti governativi coreani, il 22 maggio 2011, l’Unesco ha riconosciuto questo tragico evento come Patrimonio Mondiale dei Ricordi e nel 2015 è stato aperto un sito web degli Archivi del 18 maggio dove vengono riportati video, storie ed immagini per non dimenticare.

Cinema e letteratura: raccontare Gwangju

Una pellicola struggente, che racconta di questo episodio è sicuramente A Taxi Driver, di Hun Jang del 2017, che narra di Kim – un tassista vedovo, indebitato e con una figlia da mantenere – che si ritrova con un cliente destinato a un altro autista: un fotoreporter tedesco (nella realtà storica Jürgen Hinzpeter) disposto a spendere 100 mila won pur di essere portato a Gwangju per filmare la repressione della protesta studentesca e far sapere al mondo cosa stava succedendo in Corea.


Una testimonianza – questa volta scritta – dei fatti viene narrata nel famoso romanzo Atti Umani di Han Kang, un’opera corale che intreccia storie di vittime, testimoni e sopravvissuti.

Un omaggio ai movimenti studenteschi

Infine, un altro libro dedicato ai movimenti studenteschi sudcoreani è Io ci sarò di Kyung-sook Shin, nella quale il passato e le emozioni del periodo più profondo, traumatico ed eccitante della vita di Jeong Yun si ripresentano in seguito alla chiamata di un vecchio compagno d’università.
Da qui si rievoca la vita di tre studenti di Seoul, immersi assieme in uno dei momenti di maggiore travaglio politico del Paese, raccontando con delicatezza l’amore negato, la sofferenza insopportabile, la crudeltà e l’esuberanza di una metropoli in pieno tumulto.

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