Speciale Corea del Sud

Il divario di genere nel lavoro in Corea del Sud

Divario di salario, minor numero di assunzioni, sessismo in ambito lavorativo, molestie sessuali e mancato riconoscimento del ruolo della donna dal punto di vista sociale. Ecco cosa (davvero) le donne coreane devono affrontare ogni giorno.

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Che si tratti di k-drama, film o libri, non è raro vedere rappresentata in contenuti di provenienza coreana la difficile situazione femminile che le donne coreane si ritrovano ad affrontare ogni giorno. Trattate in maniera nettamente diversa dai superiori e colleghi maschi, ma non solo, esse risultano anche essere ripetutamente vittime di molestie.

Se si aggiunge la pressione che le donne subiscono quotidianamente per assecondare i ferrei standard di bellezza, il quadro mostra come la situazione femminile in Corea sia ancora molto indietro, e di come la sua società sia ancora fortemente patriarcale e maschilista.

Negli ultimi anni i conflitti riguardanti i ruoli di genere si sono intensificati nel Paese. La Corea del Sud può essere considerata a livello internazionale una potenza economica, tecnologica e culturale, ma tale reputazione oscura il poco potere che cede alle donne. Il divario retributivo di genere è il più ampio tra le economie avanzate, pari al 35%, e abbondano le assunzioni sessiste. Oltre il 65% delle aziende quotate alla Borsa coreana non hanno dirigenti donne. E il Paese è costantemente classificato come il paese con l’ambiente peggiore per le donne lavoratrici tra i paesi dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Anche altri dati indicano un aumento del divario retributivo tra i due generi.
Secondo alcuni studi, infatti, nel 2022 le lavoratrici coreane sono state pagate in media il 30% in meno dei loro colleghi maschi. La paga oraria media delle donne in questi studi era di 18.113 won (14 dollari) nel 2022, rispetto allo stipendio medio maschile di 25.886 won all’ora.

Inoltre, solo il 55 per cento delle donne sudcoreane lavora, contro il 73,7 per cento degli uomini. L’occupazione femminile sembrerebbe essere aumentata tra le ventenni, ma il dato crolla quando le donne superano i trent’anni, perché si sposano e hanno dei figli (anche se negli ultimi anni le percentuali di donne coreane che hanno deciso di mettere in pausa la propria carriera per sposarsi, avere figli, o prendersi cura della famiglia è diminuita, fatto che però ha infatti avuto pesanti ripercussioni sul tasso di natalità coreano).


Le aziende pensano che le dipendenti rinuncino alla carriera dopo il matrimonio e la maternità, e questo mette naturalmente le donne in una posizione difficile quando devono ottenere una promozione e svolgere un ruolo importante nel loro lavoro.

Il fattore natalità è uno dei motivi che hanno spinto alla creazione dei movimenti “anti-femministi”. In essi questi uomini non vedono il femminismo come una lotta per l’uguaglianza, ma come una forma di discriminazione alla rovescia, un movimento per togliere loro il lavoro e le opportunità, e affermano di non voler soffocare i diritti delle donne, ma semplicemente di amplificare le voci degli uomini.

I motivi dietro però a questa situazione contemporanea possono essere ritrovati nella storia di questo Paese. Prima della nascita della Repubblica di Corea, a causa della forte influenza della cultura cinese, la figura femminile era sottoposta alle regole della pietà filiale.
Si tratta di un concetto dal carattere prettamente confuciano e che racchiude in sé la virtù del rispetto verso i genitori, gli anziani e gli antenati: in particolare, le donne nascevano seguendo gli ordini del padre, dei mariti e infine quello dei figli

Fortunatamente con l’avvento del XIX secolo le cose per le donne coreane sembrerebbero aver iniziato a cambiare. Oggi esse sono sicuramente impegnate attivamente in una più ampia varietà di campi, tra cui istruzione, medicina, ingegneria, arti, diritto, letteratura e sport, dando un contributo significativo alla società.

Essere donne in Corea rappresenta una continua sfida alle tradizioni, ai pregiudizi e alle discriminazioni (come succede in molti altri luoghi nel mondo), ma le nuove generazioni continuano a lottare affinché la loro indipendenza sia riconosciuta come un fattore positivo e non come una minaccia.

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