Incidente di Casal Polacco, quando il prezzo della popolarità è la morte di un bambino
“Ti ameremo per sempre”. Questa è l’ultima “carezza” che papà Marco rivolge a Manuel, strappatogli via dall’incidente che a Casal Palocco, zona di Roma, ha coinvolto anche la mamma e la sorellina di 3 anni.
Sono le 14 e 45 quando ad un incrocio della frazione residenziale dell’Agro romano, una Lamborghini perde il controllo e travolge una Smart FourFour. La supercar colpisce la fiancata destra della vettura, proprio il lato in cui viaggia il piccolo Manuel, mentre la stessa viene sbalzata via qualche metro più avanti. A bordo della Lamborghini ci sono cinque ragazzi, cinque youtuber intenti, in quel momento, a creare contenuti per il proprio canale. Quella stessa auto era stata appositamente noleggiata per registrare una challenge, una sfida che prevedeva di stare al volante, anche alternandosi, per un totale di 50 ore, senza mai scendere dalla vettura.
Dalle successive analisi, il ragazzo che si trovava alla guida è risultato poi positivo ai cannabinoidi e a suo carico è stata aperta un’indagine per reato d’omicidio stradale e lesioni. Per il momento invece non risultano iscritti al registro degli indagati gli altri quattro ragazzi che si trovavano sull’auto. Contemporaneamente è stata disposta una serie di analisi sui cellulari dei cinque yuotuber, con l’intento di verificare se possano emergere eventuali video e/o messaggi utili alle indagini preliminari, anche nell’ottica di un eventuale concorso di colpe che interessi gli altri passeggeri della Lamborghini.
Secondo le testimonianze di chi ha assistito alla tragedia, nei minuti appena successivi alla violenta collisione con la Smart, i ragazzi sarebbero scesi dalla propria vettura filmando quanto successo con un atteggiamento che i presenti avrebbero giudicato quasi divertito, capace di far scoppiare anche una rissa con i presenti. Ormai da diverso tempo il gruppo portava sui propri canali YouTube e TikTok contenuti principalmente basati su sfide e challange spesso pericolose, con l’obiettivo di raccogliere views e attrarre più like possibili.
Sull’accaduto si è espresso anche il presidente della Società italiana di Psichiatria Forense, Enrico Zanalda, che in una nota ha spiegato “La presenza diffusa di comportamenti rischiosi sui social media, porta anche all’effetto di normalizzazione, dove tali azioni appaiono più accettabili o normali a causa della loro esposizione frequente. Ciò può influenzare la percezione delle persone sulla gravità o sulle conseguenze di determinati comportamenti pericolosi, favorendo una maggiore tolleranza o partecipazione. Il limite di un gioco è quando le azioni intraprese vanno oltre il confine della sicurezza e dell’incolumità propria e altrui”.
Per i ragazzi in questione però quello non era soltanto un gioco piuttosto risultava essere la scalata al successo, alla fama e alla popolarità che molti oggi ricercano nel mondo dei social. Il prezzo? Spesso non conta, anche se in questa occasione è stata la vita di un bambino di cinque anni e la distruzione di una famiglia condannata a vivere nel pianto, con il dolore che si raccoglie negli occhi grigi a cui nessuno potrà restituire i colori e la luce di prima.
In “Du côté de chez Swann”, prima parte de “Alla ricerca del tempo perduto”, Marcel Proust scriveva “Non siamo mai completamente formati ma sempre soggetti ad una lenta evoluzione coscienziale”. Oggi, innanzi al tragico esempio delle conseguenze della degenerata corsa ad una fredda e “vuota” evoluzione, improntate solo alla fama e alla popolarità, abbiamo l’obbligo di ricercare un modello basato su un progresso che contempli anche valori, ragione e sentimenti, poichè come sosteneva Pitagora “L’evoluzione è la legge della vita” e la vita non si può ridurre al favore dei follower e all’apprezzamento del web.