Attualità

La profondità del mare, la superficialità umana.

Fonte : Ansa.it

Senza destare attenzione. Così le onde del mare si infrangono sugli scogli, inghiottono le impronte lasciate sulla sabbia, cancellano le scritte e i segni impressi sulla battigia. Senza far rumore. Così le stelle si incastrano nel cielo e si specchiano su quella stessa acqua. Tutt’attorno si sviluppa la nostra quotidianità. E mentre ognuno è legittimamente impegnato a vivere la sua vita, qualcun altro, per sfuggire ad una realtà più tragica, perde la propria. Solo allora la nostra attenzione ricade sui cadaveri di chi invece lottava con tutte le sue forze per vivere.

Lo scenario della tragedia che si è consumata davanti alla spiaggia di Cutro, nel crotonese, è l’ennesima dolorosa riproposizione di un canovaccio che non può soltanto divenire una tematica politica. Nelle prime ore della mattinata dello scorso 26 febbraio il barcone, partito 4 giorni prima da Izmir, in Turchia, seguendo una rotta insolita rispetto a quelle tradizionalmente osservate dai trafficanti di esseri umani, si è spezzato davanti alle coste calabresi. Il bilancio è di circa 70 morti e decine di dispersi. Dalle prime indagini emergerebbe come qualcosa si sia inceppata nella catena dei soccorsi tra Guardia Costiera, Guardia di Finanza e Frontex, l’agenzia europea che gestisce le frontiere e le coste.

In un primo momento la Guardia di Finanza avrebbe tentato un’operazione di intercettazione del barcone, resa poi impossibile dalle condizioni del mare, non disponendo di adeguate imbarcazioni come quella in possesso invece della Guardia Costiera. La stessa giustifica il mancato intervento a fronte delle informazioni non allarmanti riportate da Frontex, ricevendone di diverse soltanto quando il caicco si trovava ormai a poche centinaia di metri dalla spiaggia. Dal canto suo quest’ultima sottolinea come, indipendentemente dal “buon livello di galleggiabilità” rilevato inizialmente, abbia ugualmente segnalato il sovraffollamento sul barcone. L’ipotesi di un’operazione congiunta, soluzione prospettata da molti, avrebbe necessitato invece di apposite disposizioni da parte del Ministero dei Trasporti e dal Viminale, disposizioni che evidentemente non c’erano.

Fonte: AP photo /Paolo Santalucia

In un quadro così drammatico le parole del ministro Piantedosi sono state sicuramente capaci di attirare le più crude e schiette critiche. “La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli” e ancora “Io sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi sempre cosa aspettarmi dal paese in cui vivo, ma anche quello che posso dare io stesso al paese”. Dichiarazioni del genere lasciano trasparire un vuoto di empatia e di emotività che in avvenimenti come questi sono difficilmente trascurabili, tuttavia secondo alcuni non sono queste le qualità che un ministro deve vantare. Per quanto tale posizione possa essere altamente opinabile ci si aspetterebbe allora un uso delle ulteriori doti che la classe politica attuale vanta.

Che si tratti di opposizione o di maggioranza. Oggi l’attuale governo, se non è riuscito ad evitare la tragedia (saranno le indagini a chiarire se ciò sarebbe risultato possibile o meno), ha l’obbligo di evitare che un triste evento come questo si ripeta, ha l’obbligo di portare in Europa le proprie argomentazioni iniziando a farsi ascoltare anche da quei Paesi, come Polonia e Ungheria, che giudica alleati. Ma non solo. A queste stesse vittime si deve riconoscere la propria dignità ed evitare che le loro morti siano strumentalizzate, siano l’ennesima occasione per ribadire slogan politici che rimangono freddi e distanti dalla realtà dei fatti, realtà che oggi vede decine e decine di bare disposte una accanto all’altra, con madri che hanno perso i figli e con figli che hanno perso le proprie madri.

La disperazione che spinge molti a mettere in pericolo la propria vita e quella dei figli non è soggetta a giudizi. Non lo sono le loro paure innanzi alla guerra, alla fame e alle dittature. Non è soggetto a giudizi il desiderio di essere liberi e avere la possibilità di vivere in modo dignitoso. Non lo sono i gesti e la disperazione di quei superstiti che chiamati a riconoscere le salme dei loro cari hanno ancora negli occhi il dolore delle perdite e la paura della fame dalla quale fuggivano.

Una delle ultime vittime è un bambino del quale non si conosce ancora neanche l’età, uno dei tanti che purtroppo il mare ha riversato senza vita sulla spiaggia. Se tutti hanno il diritto di sognare una vita migliore ancora di più vale per i più piccoli. Alcuni però non ce l’hanno fatta. Alcuni sono ancora dispersi, con le onde che ora accarezzano quelle fronti sulle quali non si poggeranno mai più i baci delle proprie madri.

La politica è fatta di visioni, di decisioni anche diverse le une con le altre ma l’umanità no. Non si può rimanere indifferenti, tutti hanno il diritto di sognare allo stesso modo, tutti hanno l’obbligo di difendere le aspirazioni altrui. Abbiamo pari diritti e pari doveri anche in questo, perché indipendentemente dalle origini, dalle religioni, dalle culture siamo proprio come le onde del mare che, pur infrangendosi contro gli scogli, possono mutare nella forma ma non nella sostanza.

Andrea Salvatore Leone

Studente Università- Dipartimento Giurisprudenza

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