La tragedia di Balvano
Esattamente ottant’anni fa avveniva la tragedia di Balvano, il disastro ferroviario più grande avvenuto nel nostro Paese. Era il 3 marzo del 1944 e centinaia di persone affollavano i vagoni del treno 8017 Battipaglia-Potenza, che all’interno della galleria “Delle Armi” consegnerà alla morte più di 600 vite umane. I numeri dei morti non furono mai definiti ma quello avvenuto nella provincia potentina è il disastro ferroviario con più vittime della storia italiana, distaccando di molto quello avvenuto a Rignano sulla Roma-Viterbo nel 1943 e quello del viadotto di Fiumarella del 1961. A Rignano persero la vita 120 persone mentre nel secondo caso le vittime furono 71.
La ricostruzione dei fatti
Ciò che a Balvano uccise circa 600 persone fu il monossido di carbonio, quel gas tossico e inodore che riempì l’intera galleria nella quale il convoglio si trovava bloccato a causa di un’avaria. Il treno 8017, partito da Battipaglia in direzione Potenza, aveva iniziato la sua marcia in trazione elettrica. A Salerno, poichè la linea non era elettrificata, era passato perciò alla trazione a vapore, con due locomotive disposte in testa ai vagoni per trainare i 45 carri che formavano il convoglio stesso.
Poco prima dell’una di notte il treno ripartì da Balvano in direzione della stazione di Bella-Muro. Intorno alle 2 però i vice capostazione di Balvano e Bella-Mauro si scambiarono alcune comunicazioni con le quali si invocava un intervento di soccorso per il treno 8017 che denunciava problemi legati all’insufficienza della forza di trazione delle due locomotive.
Passata un’ora, non vedendo arrivare il convoglio e non avendone più notizie, dalla stazione di Bella-Muro fu inviato un guardalinee di ricognizione, il quale giunto all’altezza della galleria “Delle Armi” si rese conto di come il fumo avesse invaso il tunnel stesso. Tornò quindi indietro per richiede soccorso. L’orologio segnava ormai le 5 del mattino e quando meno di mezz’ora più tardi un’altra locomotiva giunse sul posto per trainare il treno in avaria, il fumo aveva reso impossibile anche questa stessa manovra. Durante il tempo intercorso infatti entrambe le locomotive erano rimaste in funzione, continuando a produrre quel vapore che pian piano si era diffuso in tutta la galleria.
Le diverse versioni
Il verbale del Consiglio dei Ministri del 9 marzo 1943 ci restituisce una ricostruzione dei fatti in realtà mai accertata e molte furono le tesi che si susseguirono sul peso del treno o sul numero dei carri. Secondo una diversa versione il treno, dopo aver percorso le prime centinaia di metri all’interno della galleria, si sarebbe imbattuto sulle rotaie bagnate che vedevano il convoglio scivolare all’indietro, in una rischiosa discesa. Il macchinista, per evitare di retrocedere pericolosamente e per rientrare sui binari, avrebbe continuato ad alimentare le già citate locomotive, tuttavia l’umidità e la mancanza di ossigeno non permisero al carbone di ardere a sufficienza e anzi accelerò la diffusione del monossido di carbonio nell’aria.
In seguito all’accaduto fu istituita una Commissione d’inchiesta che, dovendo indagare sulle colpe dell’incidente e sul mancato pronto intervento, rintracciò le responsabilità in “una combinazione di cause materiali, quali nebbia, foschia atmosferica, mancanza completa di vento capace di determinare l’alterazione della naturale ventilazione nella galleria, rotaie umide e tutte quelle cause che malauguratamente si sono rappresentate unitamente e in rapida sequenza”. Dalle analisi compiute successivamente si scoprì che l’incidente si sarebbe potuto evitare.
La morte portata dalla guerra
In quegli anni la morte rincorreva quella povera gente che si trovava parte di un conflitto mondiale che gli rubava i figli e gli restituiva fame e miseria. Se le mani dei soldati erano macchiate del sangue dai nemici la popolazione era invece segnata dagli stenti e dalla povertà. Sforniti di fucili o proiettili capaci di farli vincere, anzi di non farli soccombere, contro un avversario astratto ma paradossalmente così tanto tangibile, tanti cittadini approfittavano dei treni merce per recarsi in altri luoghi dove poter scambiare prodotti con cibo o recuperare qualche alimento per la propria famiglia. Erano queste le motivazioni che avevano spinto centinaia di persone sopra quel treno, le stesse che le condussero poi alla morte.
La tragedia di Balvano avvenne nel silenzio generale di un Paese impegnato a combattere sì ma al tempo stesso attento a placare quelle insurrezioni che iniziavano a divenire sempre maggiori. Fu anche e soprattutto questo il motivo per il quale quei morti non “fecero notizia”, essendo stati invece più o meno direttamente causati da una guerra che aveva dilaniato un continente, come anche sottolineato dal Times nel 1951 che scrisse: “Il Governo alleato si sforzò di occultare, nascondere e minimizzare quell’incidente, con l’evidente finalità di evitare un effetto deprimente sul già provato timore degli italiani”.