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La letteratura femminile: un atto di resistenza e di affermazione

La letteratura femminile è una categoria letteraria che include tutte le opere scritte da donne o quelle che trattano, in modo specifico, delle esperienze femminili. 

Descriverla, però, come una semplice distinzione di genere è alquanto riduttivo. 

La letteratura femminile è un campo che riflette non solo la voce delle donne, ma anche il loro vissuto, la loro forma mentis e il contesto storico e culturale in cui sono vissute. 

Le donne hanno sempre vissuto un’esperienza sociale ben diversa rispetto a quella degli uomini. La loro educazione era spesso limitata o completamente assente, e le aspettative che ricadevano sulle loro spalle erano fortemente influenzate dai ruoli di moglie e madre in cui erano relegate. 

In questo contesto, scrivere non significava unicamente esprimere pensieri ed emozioni, spesso repressi, ma anche opporsi alle norme culturali. Una forma di resistenza, insomma, uno strumento di affermazione in un mondo dominato da soli uomini. Non solo un atto creativo, ma soprattutto un atto politico.

Scrittrici come Virginia Woolf, Mary Wollstonecraft, Charlotte Brontë, e, in epoca più recente, Simone de Beauvoir e Toni Morrison hanno sfidato apertamente le convenzioni sociali e culturali, sollevando interrogativi fondamentali sulle strutture di potere, sulle disuguaglianze e sulla ripartizione della società.

In particolare, Virginia Woolf, con il suo saggio Una stanza tutta per sé, ha sottolineato l’importanza per le donne dell’indipendenza economica e intellettuale, affermando che “una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi“. 

Questo concetto, apparentemente banale, ha rivelato una dura verità: la difficoltà, sua così come di molte altre, di accedere a spazi creativi e intellettuali senza un’indipendenza economica. Scrivere, quindi, rappresentava una lotta tramite cui rivendicare il proprio spazio.

Una diversa forma mentis

Una donna non avrebbe mai potuto scrivere Moby Dick.

Non prendetela come un’offesa. Si tratta di un dato di fatto.

Partendo dal presupposto che la mentalità dell’epoca non lo avrebbe mai permesso, dobbiamo scendere a patti con un’altra verità. 

La forma mentis delle donne è diversa da quella degli uomini.

Con forma mentis si intende il modo in cui tutti noi pensiamo, interpretiamo e percepiamo la realtà.

Come abbiamo già detto, le donne, per secoli, hanno vissuto in una società di stampo patriarcale, che ha imposto loro ruoli e limiti, spesso relegandole all’ambito domestico e privandole della libertà intellettuale.

Sono state escluse dall’istruzione formale e dalla partecipazione attiva alla vita pubblica e politica e, di conseguenza, il loro accesso al mondo della cultura era limitato.

È chiaro, quindi, che tale esclusione abbia influito notevolmente sulla loro percezione di se stesse e sulla prospettiva da cui guardare al mondo.

Vi è un abisso a dividerle dagli uomini. Una diversità sistematica, più che cognitiva, che le ha spinte verso determinate direzioni, più che in altre.

Tale emarginazione ha alimentato una riflessione personale e decisamente più intimistica.

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