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Mondo – Caso di stupro nel metaverso, scatta l’indagine nel Regno Unito

Una ragazza britannica di quindici anni sarebbe stata vittima di un aggressione sessuale “virtuale” mentre giocava ad un gioco immersivo nel metaverso. Si riaccende il dibattito sulla fattispecie giuridica di queste aggressioni👇

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📷www.dillofacile.it – La tutela dei diritti della persona nel metaverso, una questione da affrontare in modo serio – voceliberaweb

La denuncia. E’ possibile subire uno stupro in una dimensione virtuale? E quali sono i contorni giuridici entro cui far rientrare condotte di questa tipologia? Negli ultimi due anni, l’evoluzione del progetto multiverso su iniziativa di Meta Platform Inc. ha portato centinaia di migliaia di utenti in tutto il mondo a interfacciarsi con le varie piattaforme di realtà aumentata disponibili in rete. Infinite opportunità, siano esse ludiche o lavorative, ma anche il rischio di imbattersi in vicende assai spiacevoli come quella occorsa di recente ad una ragazza inglese, vittima di un’aggressione a sfondo sessuale mentre con il suo avatar stava vivendo un’esperienza di gioco immersivo. Il caso, in verità non esclusivo se si guarda al panorama internazionale, potrebbe generare dei risvolti legali non di poco conto nel Regno Unito (paese nel quale vige la regola del precedente giuridico vincolante) con riferimento agli orientamenti giurisprudenziali da adottare in materia di atti lesivi dei diritti della persona compiuti nella realtà virtuale, dando un impulso allo sviluppo di normative più stringenti anche negli altri stati.

Il tema non è nato con l’introduzione del metaverso. La questione se lo stupro consumato sul piano virtuale sia “davvero uno stupro” e vada punito come tale ha iniziato ad infiammare il dibattito a far data dalla prima metà degli anni ’90, quando le esperienze di violenza all’interno delle prime comunità virtuali vennero raccolte in un articolo a firma di Julian Dibbel pubblicato sul settimanale statunitense “Village Voice”. I racconti delle vittime erano accomunati da un elemento che potrebbe assumere particolare rilevanza anche nel caso della ragazza britannica abusata nel mataverso: la percezione soggettiva della paura. Le persone dietro agli avatar che erano stati oggetto di aggressione riferivano tutte di aver provato emozioni simili a quelle delle vittime di stupro fisico, facendo coniare agli addetti ai lavori l’espressione “Violenza cyberspaziale”.

L’elemento soggettivo, sia pur variabile a seconda della persona, diviene oggetto della valutazione del giudice data l’ovvia assenza della componente fisica di un’aggressione a sfondo sessuale. Inoltre, la dimensione immersiva dei giochi a realtà aumentata rende particolarmente labile il confine tra verità e finzione, specie se a giocarvi sono dei bambini. L’impatto psicologico sulla vittima è tale da poter essere assimilato al trauma riportato da quante hanno patito lesioni fisiche, aspetto su cui potrebbero basarsi tanto i giudici inglesi quanto i futuri orientamenti legislativi e giurisprudenziali in materia. I contorni giuridici rimangono però incerti, non essendo la condotta in oggetto attribuibile ad una persona fisica.

“L’avatar è un’entità digitale ma se io fossi un giudice, oggi, rivolgerei la mia attenzione alla vittima che indossa un visore, e che proprio attraverso un avatar sente la sua sessualità minacciata. Non stiamo parlando di atti sessuali su una bambola, ma di un’aggressione a una persona che può percepire tale violenza, poiché una delle caratteristiche del metaverso è proprio quella di poter sentire” (Stefano Aterno, esperto in diritto delle nuove tecnologie)

📷www.spindox.it

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