Park Ji-sung: il guerriero ‘tre polmoni’ che ha scritto la storia del calcio sudcoreano
Direttamente da una cittadina che pare scolpita nei silenzi della Corea rurale, Park Ji-sung è diventato un ambasciatore di speranza in un mondo che raramente riconosce il valore della semplicità. La sua vera storia 👇
Dove si spegne una stella, è lì che nasci tu. In Niente Panico, il suo ultimo singolo, Ghali ci ricorda con poetica intensità quanto sia fondamentale custodire le proprie radici, pur coltivando l’aspirazione di lasciare un’impronta indelebile.
Questo parallelismo trova un’eco potente nella parabola esistenziale di Park Ji-sung, il centrocampista sudcoreano che, partendo da Goheung, una modesta cittadina della Corea rurale, ha saputo trasformare umiltà e ambizione nel combustibile per il suo straordinario viaggio fatto di trofei e soddisfazioni personali.
Un’infanzia scolpita nella resilienza
A Goheung non c’erano riflettori e, naturalmente, neanche campi perfetti su cui costruire sogni destinati a svanire nel nulla. C’era, però, il fuoco di una determinazione che ardeva tra mille difficoltà. E questo fa sorridere se pensiamo al giovane Ji-sung, minuto e apparentemente fragile, ben lontano dall’archetipo del calciatore predestinato. È la vita, però, che a volte ci riserva dei regali che neanche immaginiamo, come ci ricorda ancora Ghali.
Così, come l’acciaio si tempra nelle fiamme, Park ha forgiato il suo talento sotto una stella invisibile, ma costantemente presente, quasi a visionare un potenziale che, senza ancora saperlo, avrebbe presto trovato la sua massima espressione.
Una gavetta lunga, fatta di porte in faccia e respiri profondi, ma con una sola consapevolezza nel cuore: come la Corea del Sud stava ancora trovando il suo posto nel mondo dopo il periodo di conflitti e rivoluzioni, anche Ji-sung sarebbe riuscito nel suo intento.
Atto primo: dal sogno all’ascesa
Verosimilmente, Park non aveva la stoffa da prodigio predestinato. Non aveva il tocco magico di un Messi, tantomeno la potenza devastante di un Cristiano Ronaldo. Aveva, però, qualcosa di ben più grande, nascosto sotto l’anima tormentata di chi viveva in un paese segnato da rivolte e periodi storici difficili: un cuore che batteva all’unisono con la fatica, forgiato da una forza di volontà incrollabile.
Il Kyoto Purple Sanga gli offrì la prima vera opportunità, in Giappone. È stato proprio lontano dai confini coreani che Ji-sung ha mostrato al mondo come l’ossessione possa davvero battere il talento, con la giusta miscela di lavoro e dedizione. Nel 2002, la vittoria in Coppa dell’Imperatore lo mise sotto i riflettori, ma il vero trampolino di lancio fu il Mondiale dello stesso anno, ospitato dalla Corea del Sud.
Con Guus Hiddink come mentore, la metamorfosi di Park fu rapida e convincente: da diamante grezzo a gladiatore moderno, con tutte le carte in regola per guidare una Corea del Sud a un’epopea calcistica che culminò in una storica semifinale.
Queste prestazioni attirano l’attenzione dell’Europa, ed è il PSV a lasciargli credere di star vivendo in un film. Con la maglia dei Boeren, Ji-sung si consacra, ma è solo il preludio di un cammino che lo ha portato, in seguito, a calcare il teatro dei sogni: l’Old Trafford.
Il “tre polmoni” del Manchester United
Quando Sir Alex Ferguson lo portò al Manchester United nel 2005, molti inarcarono un sopracciglio, manifestando preoccupazione. Era assurdo: un coreano in Premier League, in che modo mai potrebbe essere all’altezza? Era tutto troppo grande per lui.
Park Ji-sung, ancora una volta, non rispose con le parole ma con i fatti. Non perché fosse taciturno ed introverso come molti suoi connazionali, ma perché nessuna risposta sarebbe stata migliore di quella marcatura su Andrea Pirlo nei quarti di finale di Champions League nel 2010.
Era semplicemente il motore silenzioso della squadra, il giocatore che correva per tre senza mai mollare, facendo il lavoro sporco affinché i suoi compagni di squadra potessero brillare. Non cercava i riflettori; la sua profonda umiltà e la cultura del lavoro lo distraevano genuinamente da tutto ciò.
Aneddoti di sacrificio e umiltà: la cucina coreana come simbolo di forza
Uno degli episodi più iconici della carriera di Park Ji-sung riguarda la sua alimentazione da giovane, dove la cucina coreana ha giocato un ruolo fondamentale. La sua famiglia gli preparava del brodo di rana, convinta che avrebbe potuto aiutarlo a sviluppare muscoli più forti.
Per noi occidentali, è impensabile, ma in Corea del Sud la cucina ha un valore profondo, legato anche a processi spirituali. I coreani credono che ciò che si mangia abbia un impatto diretto sulla salute e sul benessere, tanto che l’alimentazione è spesso vista come una forma di medicina preventiva.
Il concetto di “Yin e Yang” e di equilibrio tra i cinque sapori (dolce, amaro, salato, piccante, aspro) si riflette nelle preparazioni quotidiane, in cui ogni pasto è pensato per bilanciare le energie interne. Mangiare, per i coreani, è quindi un atto sacro, un modo per armonizzare la propria vita e mantenere l’equilibrio fisico ed emotivo.
L’eredità: un ponte tra due mondi
Quando Park Ji-sung ha appeso gli scarpini al chiodo nel 2014, non ha lasciato solo un vuoto nel mondo del calcio, ma anche un’eredità dal valore inestimabile. Il primo grande calciatore asiatico a sfondare in Europa, a vincere la Champions League, ma soprattutto il primo ad aprire le porte a una generazione di calciatori provenienti da un paese spesso sottovalutato in termini calcistici, dato che in Corea il calcio non è il primo sport.
Per gli amanti della cultura coreana, forse, la dedizione di Park Ji-sung non stupisce: i coreani sono noti per la loro cultura del lavoro e del sacrificio, ma la sua rivoluzione resterà per sempre una fonte di ispirazione per i giovani aspiranti calciatori che guarderanno al suo vessillo e potranno pensare ‘”Niente panico”. Perché, alla fine, un modo si trova sempre.
📷 Fonte copertina: transfermarkt.it