Uomini in piedi
Il tradizionale discorso di fine anno del dicembre del 1978, con il quale l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini si rivolse agli italiani, caratterizza idealmente uno degli abbracci più significativi dello Stato alle nuove generazioni. Tenendo fra le mani la sua distintiva pipa, il “Presidente più amato” si rivolse per quasi tutta la durata del messaggio ai più giovani. Lo fece con il tono di chi avvertiva l’importanza del difendere il loro futuro, lo fece con la consapevolezza del ruolo che occupava, e tramite l’autorità che rivestiva quelle stesse parole, sottolineò le responsabilità di ognuno. Pertini parlò di esempi. Esempi di una nuova generazione che vale, esempi di giovani virtuosi, esempi ai quali i giovani dovrebbero rifarsi. Ai ragazzi disse “Se volete vivere degnamente e fieramente, fate che la vostra vita sia illuminata dalla luce di una nobile idea”, un invito a “saper crescere” nel giusto modo, con degli ideali e con la contezza sia del quotidiano che dell’avvenire. L’esortazione appare ancor più chiara ed esplicita quando il Presidente ribadisce più volte la necessità per i giovani di “armare il proprio animo di una fede vigorosa, una fede libera, che presupponga il principio di libertà, poiché se essa non presuppone tale principio bisogna respingerla. Nel caso contrario si aprirebbe una strada in cui al termine vi sarebbe una morale e personale schiavitù, si arriverebbe alla trasformazione in servi in ginocchio”.
La condizione di “uomini in piedi, padroni del proprio destino e delle proprie idee” è quella che Pertini prospettava senza mai dimenticare però l’imprescindibile impegno di chi è chiamato a guidare le nuove generazioni, di chi non solo può rappresentarsi come esempio per esse ma che possa essere davvero il punto di riferimento nel loro processo formativo e di crescita.
“La luce della nobile idea” richiamata trova spesso però la sua contraddizione nel buio del quotidiano operare, in una sorta di “globalizzazione dell’indifferenza”. Thomas Hobbes ne “Il Cittadino” individuava proprio l’indifferenza e la paura come due dei principi della società, tuttavia i tratti di una “comunità” del genere possono intendersi certamente come i veicoli della trasformazione da uomini liberi in servi in ginocchio. Schiavi di una deformazione della società sì ma al tempo stesso vittime di chi diffonde un tale “im-proggetto sociale”. Se un progresso globale appare pressoché impossibile risulta impensabile l’idea di abbandonarsi ad un’anarchia dell’evoluzione dove la visione darwiniana del “più forte” si configura come giustificazione utile a soffocare il “più debole”, il quale spesso coincide con il “più giovane” e con il “meno esperiente”. Una realtà dove prevale una società come quella descritta da Hobbes lascia operare tranquillamente gli “anarchici del progresso”, i quali, in nome di un proprio rafforzamento, assoggettano le nuove generazioni, rendendoli praticamente dei prigionieri.
Fortunatamente esistono esempi di chi quotidianamente tende la mano a coloro che patiscono le difficoltà delle quali la comunità spesso accresce volontariamente, anche e soprattutto in riferimento a quell’egoistico modello “evolutivo” già citato, o delle quali la stessa non si accorge, proprio secondo quell’indifferenza summenzionata. Il lavoro di chi combatte tutto ciò rappresenta una delle opere umane più belle e significative, capace di ricordare e legarsi per il profondo significato ad una delle immagini più belle alle quali ha dato vita la penna dello scrittore Julio Cortàzar: “Se cadi ti rialzo. Oppure mi sdraio accanto a te”. Se secondo Jorge Luis Borges, uno tra i più importanti autori e saggisti del ‘900 , “Scrivere non è niente di più di un sogno che porta consiglio” le parole di Cortàzar dovrebbero essere intese come un monito per l’essere umano, lo schiaffo a chi ha fatto del “guarda e passa” una religione che non porta a nessun dio ma che conduce bensì nell’inferno dell’io sovrano.
L’immagine creata dello scrittore francese non merita però di restare la mera rappresentazione della solidarietà umana ma deve essere piuttosto un incentivo, una spinta verso il prossimo passo che deve essere quello della rinascita. Per compiere una vera e propria “risalita” appaiono indispensabili coloro che si impegnano giorno per giorno in nome di chi soffre queste condizioni, coloro che si donano e lavorano per ciò.
Un progetto simbolo di rinascita e di riscatto è quello del Presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, Dott. Roberto Di Bella, non a caso intitolato “Liberi di Scegliere”. In questo eccezionale lavoro vi è certamente parte anche di quel richiamo alla ricerca di una “fede libera” che Pertini aveva fatto in quel famoso discorso, vi sono, proprio con il Dott. Di Bella e coloro che vi collaborano, quegli esempi per i giovani e quell’occasione di rinascita che tutti meriterebbero. Una concreta dimostrazione di quanto detto viene offerto anche da un nuovo progetto teatrale per i minori a rischio, “L’isola dei miracoli segreti”, ideato e diretto da Angelo Campolo e voluto dal giudice Di Bella. È questo uno dei tanti risultati ottenuti dalla cooperazione dalle istituzioni catanesi, volti a concedere la possibilità a molti giovani di sperimentare un riscatto che in questo casa fa del teatro un mezzo non solo creativo ma anche culturale.
Se Sandro Pertini in quel discorso del 1978 cercava di concentrare attraverso il suo ruolo la giusta attenzione nei confronti dei giovani, oggi molti uomini e tante donne, che magari in quel tempo rappresentavano “le nuove generazioni”, impiegano soprattutto la loro umanità nel prendere per mano i giovani di questa epoca e portarli verso un percorso di crescita capace di renderli appunto “uomini in piedi, padroni del proprio destino e delle proprie idee”.