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“Vedrai, vedrai, vedrai che cambierà, forse non sarà domani ma un bel giorno cambierà”. Così cantava Luigi Tenco nella sua canzone “Vedrai Vedrai”, un brano dedicato alla madre che crescendolo, aveva immaginato per lui un avvenire migliore e coronato dal successo. Tenco però, attraverso quel connubio di note e parole, palese la preoccupazione di aver deluso la madre poiché, senza fare affidamento sui suoi consigli, aveva seguito la sua vocazione artistica che indiscutibilmente non lo stava ricompensando come egli sperava. Quelle stesse parole citate, per il valore universale che le caratterizza, possono divenire allora una bellissima citazione alla quale potersi rifare anche parlando di politica, essendo anch’essa, proprio come la musica, una forma d’arte e di vocazione. Sabato scorso, con la rielezione a Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella, per mantenere i richiami al mondo musicale che il periodo sanremese legittima, abbiamo assistito all’ennesima stonatura di un’orchestra che in realtà altro non è se non il nostro parlamento. Occorre evidenziare come la disarmonia non sia riconducibile alla figura esemplare di Sergio Mattarella ma piuttosto a chi ha determinato la sua rielezione non considerandola come parte di un progetto politico bensì come ripiego rispetto “all’insuccesso conseguito”. E quando in un’orchestra i musicisti non seguono più il tempo, non sono più coordinati tra loro, la responsabilità è sicuramente di chi la dirige. Allo stesso modo si potrebbero avanzare queste critiche a tutti quei leader di partito che tali non si sono rivelati. La scelta di congiungere le proprie ambizioni politiche su una figura di alto profilo come Mattarella è sicuramente un successo che indiscutibilmente diventa un insuccesso se trasformata in un paracadute dispiegato per evitare di schiantarsi al suolo.
Quello che appare lampante è che quasi l’intera classe politica si sia rivelata incapace di proporre, dialogare e dibattere, insomma di dare rappresentazione dell’essenza stessa della politica. E tra quei nomi che sono filtrati solo una minima parte conteneva figure di valore e di competenza assolute. Diversi sono stati coloro (chi più, chi meno) che, legittimamente o no, si sono autocandidati al Quirinale o chi ha visto il proprio nome associato alla Presidenza della Repubblica soltanto perché donna, mettendo in secondo piano le qualità che le permettevano di ambire ad un incarico del genere. Tornando invece al tema delle “autocandidature”, che per diversi giorni hanno alimentato soprattutto il dibattito giornalistico, risulta per certi versi umoristico che chi aveva tentato di proporsi per il ruolo di Capo dello Stato sia stato costretto a fare un passo indietro mentre chi aveva già espresso la volontà di non ricoprire ancora una volta tale ruolo abbia dovuto accettare per un senso di responsabilità che, indubbiamente, non è una caratteristica di molti. L’autocandidatura non è comunque una novità e quindi ora come allora vale un concetto espresso da un gigante della politica come Aldo Moro e poi ripreso proprio in questi giorni da Paolo Cirino Pomicino; “Al Quirinale non ci si candida ma si viene scelti”.
La notte del 27 gennaio 1967, semplice apostrofo tra un giorno e l’altro della manifestazione sanremese, diveniva il punto, la parola fine della vita di Luigi Tenco. Il corpo del cantautore fu rinvenuto nella sua camera d’albergo alle 2:10 sconvolgendo l’Italia intera e costituendo di fatto uno dei casi di cronaca nera più discussi. Le indagini parlarono di suicidio ma molti ancora oggi mostrano dei dubbio circa questa ipotesi. Il Festival di Sanremo, nonostante tutto continuò. Nel cercare di immaginare quel ritrovamento così discusso, i quotidiani di allora proponevano l’immagine grigia di un artista che, se è vero che si trattò di suicidio, si era molto probabilmente sentito vinto e sconfitto dalle difficoltà della vita, che effettivamente non era riuscito a convincersi che “qualcosa, sarebbe cambiata”. La somma degli insuccessi, per la stessa regola matematica che “(-) x (-)” è uguale a “+”, porta al successo, l’importante è non arrendersi. Lo stesso ragionamento vale per l’ambito politico. Se in questi giorni abbiamo assistito ad un fallimento non significa che dobbiamo rinunciare a ricercare, a praticare e a diffondere la già citata essenza della politica, bensì deve essere il momento in cui ci si rimbocca le maniche, anche partendo dal singolo, anche partendo dal basso. L’obbiettivo è quello di contribuire attivamente, dar vita ad un impegno che pian piano riesca a diventare “comune”, sia capace quindi di dar vita ad un’ideologia e un’attività politica che possa scuotere in primis la società, solo così potremo coinvolgere attivamente anche coloro che oggi si fermano ad un’idea errata o sbagliata, reale o immaginaria di questo mondo. Li potremmo metaforicamente prendere per mano e dirgli convintamente “vedrai che cambierà, forse non sarà domani ma un bel giorno cambierà”.